• 03/09/16 Mostre

    All’ombra della Piramide: il Cimitero acattolico e l’arte

    Dal 22 settembre esposti documenti e opere sui 300 anni del camposanto a Testaccio. In mostra dipinti di Hackert, Turner, Munch Pinelli, Roesler Franz, Sablet e Corrodi

    di Pietro Lanzara

    Nell’ottobre 1716 un medico di Edimburgo, William Arthur, morì di dissenteria a Roma per un’indigestione di fichi. Aveva seguito in esilio Giacomo III Stuart e la sua corte. Era protestante e non poteva essere sepolto in chiesa o in terra consacrata. Gli amici ottennero da Clemente XI, su intercessione del cardinale Filippo Antonio Gualterio, di inumarlo in un pratone derelitto accanto alla Piramide di Caio Cestio.

    La prima lapide nel 1738
    Dal 1723 al 1726 furono portati a Testaccio un lord scozzese e un turista inglese stroncato dalla malaria durante il Grand Tour. La prima lapide, nel 1738, fu per uno studente di Oxford caduto da cavallo. La mostra «Ai piedi della Piramide: i 300 anni del Cimitero per gli stranieri a Roma» sarà allestita dal 22 settembre al 13 novembre, con il patrocinio di 15 ambasciate, alla Casa di Goethe in via del Corso. Nel Cimitero riposa il figlio del grande poeta tedesco, August von Goethe, morto quarantenne forse di alcolismo: «Da Weimar», anticipa il curatore della mostra Nicholas Stanley-Price, «arriverà un’opera dello svizzero Rudolph Müller che raffigura la sua tomba, Avremo 43 opere da musei e collezioni private europee e statunitensi, molte rare e alcune inedite: Hackert e Turner, i romani Pinelli e Roesler Franz, gli svizzeri Jacques Sablet e Salomon Corrodi, vedutista che fu molto apprezzato dallo zar e ora è sepolto a Testaccio.

    Da Piranesi a Thorvaldsen, la tomba di Shelley vista da William Bell Scott
    Piranesi progettò la mutila colonna tombale di un caro amico, il baronetto James MacDonald. Un disegno dello scultore Bertel Thorvaldsen è venuto alla luce recentemente. La tomba di Shelley è illustrata dal preraffaellita William Bell Scott, il sepolcro di Keats da Walter Crane in un acquerello dell’Ashmolean Museum di Oxford. Edvard Munch visitò il cimitero nel 1927 e di ritorno in patria confessò a un giornalista di avere terminato a Roma molti disegni ma un solo dipinto, che sarà inviato da Oslo: la tomba dello zio Peter Andreas, storico del Medio Evo e archeologo». Memorie e documenti ricorderanno Gadda e Gramsci, «morto disadorno» nella poesia che Pasolini ha dedicato alle sue ceneri. Il poeta romantico Waiblinger, amico di Hoelderlin, e il poeta beat Gregory Corso. I pittori Hans von Marées e Enrico Coleman. Dalla Russia la figlia e la nipote di Tolstoj e il fisico Bruno Pontecorvo, deceduto in Unione Sovietica. L’afroamericana antischiavista Sarah Parker Remond e Ursula Hirschmann moglie di Altiero Spinelli. La stilista Irene Galitzine, l’attrice Belinda Lee e la bellissima Rosa Bathurst che tutta Roma pianse quando nel 1824 annegò sedicenne nel Tevere.

    Per gli scrittori: «più bello e meno triste del mondo»
    Dal marchese de Sade ad Axel Munthe, gli scrittori hanno raccontato il Cimitero «più bello e meno triste del mondo». Nel «Piacere» D’Annunzio vi conduce Andrea Sperelli e Maria Ferres. Henry James amava passeggiarvi: «Una mescolanza di lacrime e sorrisi, pietre e fiori, cipressi in lutto e cielo luminoso, che dà l’impressione di volgere uno sguardo alla morte dal lato più felice della tomba». Ora nei viali sono tumulate tre persone molto vicine al suo cuore: l’artista William Wetmore Story, interrato con la moglie sotto una statua che è opera sua, l’Angelo del Dolore; la romanziera Constance Fenimore Woolson, morta suicida dal balcone di un palazzo di Venezia; lo scultore norvegese Hendrik Christian Andersen, l’«amato ragazzo» conosciuto nell’estate 1899 e al quale lo scrittore americano rimase legato da un rapporto ancora controverso.

    Funerali notturni
    «Un tempo», riprende Stanley-Price, «era proibito seppellire i non cattolici alla luce del sole. Presenteremo per la prima volta insieme tre scene di funerali notturni: i carri con i valletti, le nuvole di fumo dalle torce, le donne e i bambini in abiti da lutto. Di queste vedute se ne conoscevano finora cinque in tutto il mondo, ma durante i preparativi della mostra un collezionista romano ce ne ha mostrata una sesta. Sorprendentemente è anche la più antica, pubblicata nel 1767 a Londra».
    Da Corriere.it – http://roma.corriere.it/notizie/cultura_e_spettacoli/16_settembre_01/all-ombra-piramide-cimitero-acattolico-l-arte-f84f0e28-7065-11e6-acff-0ba0a2f56bad.shtml

    Il Cimitero acattolico alla Piramide‏
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  • 15/07/16 Media

    Il pittoresco che fa bene al cuore

    Ettore Roesler Franz. Il vedutista dell’Ottocento Romano più noto in Italia e all’estero

    di Pierluigi Roesler Franz

    Fondatore e più volte Presidente della Società degli acquerellisti in Roma, Ettore Roesler Franz può considerarsi tra i maggiori acquerellisti italiani di ogni tempo, e tra i principali esponenti del realismo ottocentesco, oltre che antesignano dei moderni ambientalisti. La sua famiglia, di origine tedesca, si era trapiantata a Roma all’inizio del Settecento e nella capitale aveva fondato il celebre hotel d’Alemagna, tra via Condotti e Piazza di Spagna, dove furono ospitati, tra gli altri, Goethe, Stendhal, Wagner, Luciano Bonaparte, Ferdinand de Lesseps.

    Ettore, nato a Roma l’11 maggio 1845, iniziò l’attività artistica a 18 anni assieme a Ettore Ferrari, amico fraterno e compagno di studi presso l’Accademia di San Luca, artista noto per il monumento a Giordano Bruno in Piazza Campo dei Fiori, deputato e Gran Maestro del Grande Oriente di Italia.

    Fin da giovane Ettore ebbe un ottimo rapporto con gli ambienti anglosassoni con cui condivideva sia la passione per le passeggiate tra le rovine romane e la via Appia, sia interessi lavorativi, avendo iniziato a lavorare presso il consolato inglese, dove conobbe il console Joseph Severn, valido acquarellista ed amico fraterno di Keats. Quando Severn morì, Ettore e suo fratello Alessandro – nel frattempo diventato console di Inghilterra a Roma –  contribuirono, insieme ad altri intellettuali inglesi, all’erezione della stele sepolcrale nel cimitero acattolico di Roma alla Piramide.

    Il fratello Alessandro, dopo aver sposato la lady inglese Giulia Teiser ed essere andato a vivere a Londra, aprì ad Ettore il mercato del Commonwealth facilitandogli la vendita dei quadri ai turisti inglesi in visita al suo studio di piazza San Claudio 96, nel pieno centro storico, e avendo tra i maggiori estimatori anche il grande storico tedesco e cittadino onorario di Roma, Ferdinand Gregorovius.

    Vissuto in ambiente cosmopolita, circondato da amici intellettuali e artisti che fin dalla giovane età gli consentono di acquisire una formazione culturale molto aperta, Ettore Roesler Franz, anche grazie alla conoscenza di quattro lingue, viaggiò in lungo e in largo per l’Europa avendo modo di far conoscere al pubblico i suoi acquarelli, guidato nel suo percorso di vita ed opera da quanto scrisse sul retro di un suo dipinto: “Per riuscire nella vita occorre saper pazientare, prendersi i fastidi, disfare e rifare, ricominciare e continuare senza che il moto della collera o lo slancio dell’immaginazione vengano ad arrestare o a sviare lo sforzo quotidiano”.

    L’artista morì a 62 anni, il 26 marzo 1907, nella sua abitazione romana di piazza San Claudio. I resti sono sepolti nella Cappella di famiglia presso il cimitero del Verano.

    Il pittore di “Roma Sparita”

    L’opera denominata da Roesler Franz “Roma pittoresca: memorie di un’era che passa”,  ha reso noto l’artista in tutto il mondo come il pittore della “Roma Sparita”.

    L’insieme è formato da 120 acquerelli di cm 53×75 circa, tutti realizzati nell’arco di un ventennio, tra il 1876 e il 1895. Suddivisi in tre Serie da 40 quadri ciascuna, rappresentano efficaci testimonianze visive che precedono gli storici mutamenti nella struttura urbanistica di Roma; un insieme di acquarelli – alcuni di essi replicati poi dall’artista – che ci permette di immaginare la città prima degli sventramenti succedutisi dalla fine dell’Ottocento in poi.

    Dopo l’Unità d’Italia, infatti, molte zone di Roma vennero demolite. In particolare, le case sulla sponda sinistra del Tevere e quelle sulla sponda destra nella zona di Trastevere furono abbattute dopo la disastrosa esondazione del fiume, nel 1870, che rese necessaria l’edificazione di nuovi argini murari. Altre zone andarono irreparabilmente perdute, come il Porto di Ripetta e quello di Ripa Grande, ed altre ancora vennero sacrificate al nuovo piano regolatore, come il Ghetto, pittorescamente riportato nei suoi colori da Ettore Roesler Franz che lo immortalò a testimonianza del suo profondo legame affettivo con la comunità ebraica di Roma. Sempre a fine Ottocento furono smembrate alcune ville, come la Ludovisi – 32 ettari tra Porta Pia e piazza Barberini, considerata il più bel giardino d’Europa –  e vennero costruiti interi quartieri come Ludovisi e Prati. Altri ammodernamenti messi in atto nella zona a ridosso del Campidoglio, causarono, tra l’altro, la demolizione della casa di Giulio Romano nel 1888.

    In seguito, in epoca fascista, altri sventramenti della città avrebbero portato alla distruzione di zone antiche come la cosiddetta “Spina di Borgo”, di fronte alla Basilica di San Pietro, abbattuta affinché fosse costruita l’attuale via della Conciliazione.

    Ciò che rende prezioso ogni acquerello della raccolta “Roma pittoresca” è l’attenzione benevola e la cura verso la descrizione di luoghi e dettagli che il nuovo secolo, con la sua voglia ossessiva di progresso e di trasformazione urbana, avrebbe disperso per far posto a nuovi oggetti, nuove strade, nuovi mestieri, nuovi abitanti, nuovi modi di vivere, una nuova realtà che avrebbe ridotto monumenti e luoghi storici a mere mete turistiche.

    Non vi è patetico sentimentalismo nelle vedute di “Roma Sparita”, ma piuttosto il desiderio di contrapporsi visivamente al progresso che si insinua nella città con l’intento di renderla dinamica, strappando brutalmente ad essa quel velo pittoresco, quasi provinciale che si conserva, viceversa, intatto negli acquarelli di “Roma Sparita” attraverso le immagini delle colorite tradizioni e della genuina semplicità, in “quell’aria fresca e spontanea”, come scrisse Federico Hermanin, antiquata rispetto alle altre capitali europee.

    In un suo scritto in inglese del 29 marzo 1894, una sorta di “testamento spirituale”, lo stesso Ettore Roesler Franz chiarisce il suo intento: “La collezione dovrebbe essere posta in una sala speciale con una grande carta topografica della vecchia Roma in cui io darei indicazioni dei luoghi dove sono stati ripresi i quadri e questo faciliterebbe gli studiosi delle future generazioni nel capire quale era l’aspetto di Roma prima dei presenti mutamenti“.

    Attualmente il Comune di Roma possiede 119 acquarelli di “Roma Sparita”, conservati presso il Museo di Roma in Trastevere a piazza Sant’Egidio. L’unica opera mancante, raffigurante “Palazzo Mattei alla Lungaretta”, fu rubata a Colonia, in Germania, nel 1966.

    Un altro acquarello è, invece, conservato al Museo Centrale del Risorgimento di piazza Venezia a Roma. Raffigura “Re Vittorio Emanuele II di Savoia nella sua prima visita a Roma il 31 dicembre 1870, mentre la città era inondata dal Tevere”. E’ un quadro di particolare importanza per l’intera opera di “Roma Sparita” perché fu proprio in quell’occasione che il Re decise la costruzione dei muraglioni sul Tevere per evitare ulteriori inondazioni della capitale e partì quindi poco dopo l’opera di demolizione lungo le sponde del fiume. L’acquarello fu eseguito solo 13 anni dopo, intorno al 1883. Ettore Roesler Franz fu comunque testimone della scena ritratta, in quanto il 23 dicembre 1870 era stato nominato sottotenente della Guardia nazionale ed era stato presente al passaggio del sovrano in carrozza nella sua 1^ visita ufficiale a Roma 100 giorni dopo la presa di Porta Pia.

    Mostre e Riconoscimenti

    Le 23 esposizioni all’estero – Parigi, Londra, San Pietroburgo, Berlino, Dresda, Stoccarda, Monaco di Baviera, Vienna, Belgio ed Olanda – e le 46 in Italia – Roma, Torino, Milano, Firenze, Trieste e Venezia – restano a testimonianza di quanto l’opera dell’artista fosse conosciuta e apprezzata in tutta Europa.

    Tra i riconoscimenti più importanti in vita, ricordiamo la presentazione della Prima Serie di “Roma pittoresca” con cui fu inaugurato il Palazzo delle Esposizioni a Roma nel 1883, mostra replicata nel 1888 all’Esposizione di Berlino – Accademia Reale di Belle Arti, dove l’artista fu premiato dall’Imperatore Guglielmo II con “una piccola medaglia d’oro”. Due anni dopo la Prima Serie di “Roma pittoresca” venne esposta anche a Vienna alla Schonbrunnerhause (Palazzo della società degli Artisti Austriaci), un’occasione in cui la stampa locale dimostrò grande apprezzamento per la sua opera. Nel 1890, all’Esposizione di Acquerelli e Pastelli di Dresda, Roesler Franz ottenne il diploma d’onore mentre in patria Re Umberto I, su proposta del Ministero dell’Istruzione Pubblica, lo nominava Cavaliere della Corona d’Italia. Nel 1897,  gli 80 acquarelli della Seconda e Terza Serie vennero presentati al Teatro Drammatico Nazionale di Roma, dove ottennero un eccezionale successo, tanto che la mostra fu prorogata di 10 giorni. Infine, nel 1904, gli stessi 80 acquarelli furono esposti a Londra a “Earl’s Court”.

    Oltre che in collezioni private (tra cui quelle di Casa Savoia e della Famiglia dello zar di Russia) e di istituti bancari (Unicredit-Banca di Roma e Intesa-Sanpaolo), le opere di Ettore Roesler Franz sono presenti in Musei di Gran Bretagna, Usa e Australia.

    Da Gazzetta dell’Antiquariato – lug/ago 2016. Clicca sull’immagine sotto per vedere l’articolo nel formato cartaceo

    Gazzetta Antiquariato
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  • 09/06/16 Media

    Quando il Ghetto «galleggiava» sul fiume Tevere

    Il libro di Gregorovius sulla storia del quartiere

    di Lauretta Colonnelli

    Quando Ferdinand Gregorovius visitò per la prima volta il Ghetto “il Tevere era straripato, e le sue acque gialle
    scorrevano per la strada più bassa chiamata Fiumara, le case della quale hanno in parte le loro fondamenta nell’acqua. Le acque erano salite fino al portico di Ottavia, e coprivano i piani inferiori deUe case circostanti. Ogni anno il popolo d1sraello va soggetto a questo diluvio: il Ghetto galleggia sulle acque, né più né meno che l’arca di Noè con i suoi uomini e i suoi animali”.
    Era il 1853. Gregorovius era appena arrivato a Roma dalla Germania, non sulle tracce dei viaggiatori del Grand Tour, attratti soprattutto dall’arte e dall’archeologia, ma spinto da interessi storici e sociali. Resterà nella Città Eterna una ventina di anni e la racconterà nella sua monumentale «Storia della città di Roma nel Medioevo», non ancora concepita quando fissava queste annotazioni sul Ghetto. Ma già rifletteva sulla necessità di uno studio su questo quartiere e sugli ebrei che lo abitavano: «Sarebbe argomento assai più interessante che non le sterili dissertazioni sopra punti insignificanti di archeologia. Potrebbe servire moltissimo a chiarire lo sviluppo successivo del cristianesimo in Roma, e varrebbe non poco a completare nel modo piùutile la nostra conoscenza della storia della civiltà>>. Si avvicinò con sincera partecipazione ai «poveri ebrei» che vivevano da secoli in quel labirinto di strade e di vicoli fiancheggiati da case altissime, quasi fossero sovrapposti e ammucchiati in un colombario: unica antica rovina vivente tra le rovine della città.
    Ne raccontò la storia partendo dai tempi di Pompeo, quando i primi ebrei si stabilirono a Roma e resistettero per secoli, nonostante fosse la città dei loro nemici: prima quei Romani che avevano distrutto il  tempio di Gerusalemme, poi i Papi che rappresentavano il Cristo da loro messo in croce.
    Ne descrisse la vita quotidiana, tra i mucchi di cenci che le donne rammendavano e gli uomini rivendevano. Ma anche le magnifiche cerimonie festive nelle antiche Scole.
    Le pagine di Gregorovius sono ora ripubblicate da Intra Moenia nel libretto «Il Ghetto e gli ebrei di Roma>>, arricchito dagli acquerelli di Ettore Roesler Franz.

    Gregorovius - Il Ghetto e gli Ebrei di Roma
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  • 02/12/15 Mostre

    Roma: viaggio in 3D nel ghetto ebraico di fine ‘800

    Camminare nel Ghetto ebraico di Roma come era 150 anni fa grazie a una dettagliata ricostruzione tridimensionale. Un “tavolo interattivo” unico al mondo, inaugurato ieri al Museo Ebraico della capitale. L’opera è stata realizzata con avanzate tecniche informatiche e permetterà di rivivere in prima persona uno dei quartieri storici della “Roma sparita”. 

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